lunedì 24 maggio 2021

Il presente



Il mio presente? Adesso, adesso, compilo le schede tecniche di questa futura guida. Mi accorgo che il pensiero rimbalza istantaneamente tra il nome della via, qui, presente, e il panorama che quella via porta con sé, il passato. Per "panorama" intendo il clima, il periodo storico, le tecniche e i materiali.

Compilo Ceredo, che oggi per descriverla deve essere connotata con un “classica”. 

Sono arrivato a “Dolce follia” e la ricordo con la “fissa” passata. Ricordo un giorno di pioggia e uno sprovveduto Andrea che avendo la bocca più grande della pancia provava a mettere le mani sui primi metri di una via che “Peci” non aveva ancora finito di chiodare… Al tempo avevo forse salito “l’apprendista stregone” ­– 6b  di Stallavena, così, giusto per dare la misura del senso di quello che stavo facendo: nessuno.

Già… chi era “Peci” lo avrei scoperto nel tempo, così come avrei scoperto più tardi la cura creativa di “Lele” Sartori e le ramanzine paterne di “Beppo” Zanini: chiodatori.

 

Inutile perdere tempo nel far cantare queste sirene: “quello che era come fosse per sempre” lo canta Capossela e non è questo il momento…

 

Penso invece che il presente esista solo per un soggetto particolare, che il presente collettivo e condiviso è una “boiata pazzesca” e tuttalpiù lo si può riassumere come “ignoranza” o grossolanità nel descrivere una situazione molto generale. La logica conclusione è che una verità, una, non esiste. 

 

Sì, ammetto che è difficile dare credito alla mia affermazione, ma se proprio non riuscite a fare a meno di replicare con: “questo lo dici tu” … vi posso rimandare ai testi e alle pagine precise dove tutto questo pensiero viene esposto in termini precisi e in toni decisamente “divulgativi”. Parlo di Fisica e Matematica, non di inutile filosofia… 

 

Quindi no! ognuno ha un suo presente e ognuno ha la sua verità, vera come quella degli altri che inevitabilmente diverge dalla nostra.

 

Se quindi il grosso timore nel passare il testimone alle generazioni future è quello di vedere venir meno una voce importante in quel coro che ha costruito l’arrampicata sportiva nel veronese, non resta che posare il trapano e prendere in mano una cosa che scotta molto più di una punta da 12 mm appena post-foro. Occorre prendere in mano la penna.  Una penna “scotta” quando tiene bene gli occhi aperti sulla realtà e tenta di scrivere senza strizzare l’occhiolino al pubblico pagante.

 

Ma, restando ancorato al tema principale di questo scritto –  il presente, è forse meglio insistere e definire con più precisione cosa sarà mai questo presente “esteso” che da qualche parte dovrà pur esserci, in fin dei conti, se qualcosa, anche soggettivamente, ad un certo punto è emersa al mondo… beh, vorrà dire che avrà avuto un suo presente! 

“Là dove c’era l’erba oggi c’è”… una via, canterebbe Celentano se scalasse una via plaisir a Tessari… e quelle vie, una volta non c’erano.

 

E allora tenevi forte, perché il presente “esteso” – condiviso dai molti – è tutto quello che nell’essere trascurato ci lascia indifferenti. Insomma, è tutto quello che ci sfugge, quello che rimane ai bordi del nostro interesse, che nel suo non essere “mio” o “tuo”, rimane impotente e senza voce. Problema di abitudine e memoria.

Dai... un passo ancora e siamo arrivati al dunque… pensate a questo presente esteso come alla piastrina della via che state moschettonando. 

Sì, ma… guardatela! 

Mettetela a fuoco!

Non fatevi ingannare dall’abitudine. 

Eccolo il presente esteso! Visto? Esiste in tutta la sua forza. Si è semplicemente perso nell’abitudine, è diventato come l’aria, il supporto dato per scontato che permette la vita. Moschetto e salgo, respiro e vivo.

Trascuro l’aria e il pensiero che venga a mancare mi lascia indifferente.

 

Il tempo è ignoranza.

 

Credo non serva essere troppo espliciti. Chi può capire ha già capito e gli altri… gli altri non lo capiranno forse mai, persi nel troppo rumore prodotto dai trapani che costano sempre meno e dalle martellate sui tasselli regalati per chiodare “il nuovo”.

 

Per questo credo serva “associarsi”. Perché il presente esteso prima o poi entra nelle vite di qualcuno di noi e si rivela spesso doloroso. Smette di esserci indifferente. Credo sia meglio integrarlo subito, riaprire gli occhi, anche se costa farlo. La vista del reale arrossa gli occhi fino a farli lacrimare. Associarsi per raccontare i tanti volti della verità che si coagulano in una mole di materiale che sono certamente le nostre “vie per l’arrampicata” ma sono anche i nomi e gradi per le "guide". Associarsi per accorgersi che è passato almeno mezzo secolo dai primi itinerari, che i “padri fondatori” devono guardare con fiducia alla nuova generazione che tende la mano e presta l’orecchio, che vuole sapere e non essere indifferente.

 

Una generazione che non si accontenta dell’ignoranza.

 

Associarsi perché il sudore di allora che si mescolava alla polvere, ai pollini e alla terra, è identico a quello odierno che imbratta l’ascella della camicia mentre è impegnata nel dialogo sociale tra le parti o nel tedioso lavoro “da tastiera”. Un sudore diverso ma non meno nobile. Un sudore più maturo che nasce dalla stessa passione per l’arrampicata. 


Il difficile è durare, resistere nel tempo sapendo evolvere. Tutto quello che rimane "fermo" è destinato a marcire.

È questa la sfida che lasciamo ai giovani. 

Abbiamo avuto la fortuna di poter creare un mondo: bene! Adesso guardiamoci attorno e facciamo in modo che questo presente esteso che non è di nessuno e ci lascia indifferenti, si dissolva nella cura di tutti, ognuno a suo modo e per quello che può. Cura di un mondo che ci accomuna e che condividiamo quando ci facciamo testimoni della bellezza che promana da un corpo che può salire in alto.

 

Associamoci nell’interesse comune, facciamo un’arena virtuale dove poter scrivere le verità curiose che solo noi custodiamo. Facciamo un’arena reale ogni tre mesi per sottolineare gli aspetti che cambiano e che orientano nostro mondo. Facciamo un’arena di materiale per dare valore al tempo libero di chi può operare senza dover rimetterci troppo di tasca propria. Facciamo infine un’arena ufficiale per manifestare la maturità di un movimento che non ha il disperato bisogno dei “social” per comunicare le cose importanti e che prova a confrontarsi con la forza di un palese interesse sociale manifestato dagli iscritti.

Associamoci per custodire questo bene prezioso in modo condiviso, nei modi e nei materiali, per guardare avanti senza ascoltare i canti delle sirene ma accettando e integrando le realtà sempre in divenire che si affermano giorno per giorno.

 

Sarà Utopia? Probabile… a mio modo di vedere sarà sempre meglio dell’anarchia e delle trappole tese da chi piega a proprio comodo il concetto di libertà.

 

Troviamo una data e riuniamoci:

Abbiamo costruito falesie, non sarà certo trovare un nome per l'associazione e firmare qualche scartoffia a fermarci adesso!

 

Andrea



venerdì 29 dicembre 2017

Una monetina


“Si sta insieme per essere i guardiani gli uni degli altri e ricevere i benefici di questo gesto. […] La tribù  siede in cerchio per consumare il pasto comune, spalla a spalla, ognuno guardiano dell’altro e tutti sentinelle dello spazio libero dai pericoli. […] Guardiani e sorvegliati, facciamo esperienza del mondo che si curva intorno al nostro cerchio, che comincia ad avvolgerci, che cosi ci viene dato.” Cit: Tuppini, T. (2014). Ebbrezza. Mimesis.
Fine anno. La musica da organetto di ogni fine anno racconta di buoni propositi e di bontà.
L’augurio, personale e selvaggio, è che questa comunità arrampicatoria esca finalmente dallo stato di minorità. Per minorità mi riferisco all’incapacità/pigrizia/viltà che spesso ci impedisce di avere il coraggio di fare buon uso della propria intelligenza.
È comodo rimanere minorenni; incapaci.
Sul perché si finisca in questo stato si potrebbero sollevare tante cause, in primis la religiosa delega verso qualcuno che ha avuto il coraggio di emanciparsi.
In termini più chiari. Esiste un chiodatore, esiste un mondo che viene messo in “essere” dalla sua opera, esiste un arrampicatore che vive e si muove in questo mondo.
Il chiodatore è l’elemento “libero”, l’emancipato, mentre l’arrampicatore si abitua a camminare con il “girello” nel mondo da questo creato.
....

venerdì 28 luglio 2017

re-direct


Scrivere è un altra cosa, sia ben chiaro.
Quel grumo di pensieri, che tento di mettere in fila pescando in un arte che non è mia e sempre mi sfugge, ha trovato casa nel nuovo sito WildClimb.
Finché sono ospite gradito, dispiego il mio inspiegabile, (evacuo... direbbe un mio "prof"), nel mio profilo "testimonial": Andrea Tosi
In realtà sono substrato assieme a Mauro Magagna a tutto il nuovo sito WildClimb: azienda sempre più "Strumento per crescere".
Ora più che mai anche a livello personale.
Andrea


giovedì 16 marzo 2017

Retorica e dintorni

“Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d’ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz’altro pensiero” (Giacomo Leopardi)
Sarebbe buona cosa se il bisturi risanatore rimanesse in mani competenti.
Invece "la vile prudenza" lascia scivolare via una buona occasione per mettere mano al "Problema", aprendo la  strada che prima o poi condurrà l'affilata lama nelle mani di qualche "politico" di turno.
Nel frattempo ci si perde in inutili scaramucce, in patetici sgarri e difese di privilegi contrari ad ogni morale naturale.
Sono pensieri che nascono mentre leggo la guida "Trapezio & dintorni".
Nell'introduzione l'autore, Eugenio Cipriani, tocca - con innegabile sagacia e verve - tanti punti scottanti, senza mai dare l'impressione di avere il coraggio di affondare la lama nella realtà della situazione.
L'autore sembra frenato da una forma di narcisismo che - di fatto - gli impedisce di arrivare alle logiche conclusioni.
Bellissima l'immagine iniziale, -"difensore della cittadella assediata"-, accorte e opportune le citazioni letterarie.
Interessante, ma viziato da errore logico, tutto il discorso sul rispetto, cosi come quello sui diversi metri di valutazione, lasciati privi di uno strumento di conversione.
Qualcosa sfugge sempre in una direzione che sembra più tesa agli applausi del pubblico pagante che non alla vera utilità di una guida, che è e deve rimanere un testo tecnico.
Anche la poetica" excusatio non petita" iniziale, profuma di "accusatio manifesta".
Senza scendere troppo nel tedio del dettaglio, mi pare che l'analisi sia sempre superficiale, sia quando si parla di rispetto, di proprietà o di comunicazione.
Che rispetto c'è nell'esaurire tutta una parete, senza lasciare un qualcosa che valga qualitativamente- e forse anche quantitativamente - lo spazio occupato?
Inserendo poi la guida in un contesto più generale, considerandola come effetto di un assedio, c'è da rimanere stupiti che tanta risposta sia dovuta all'attacco di un esercito di "altruisti" dalla manica corta, tanto tesi all'applauso quanto alla mistificazione social.
E' tutto lì da vedere, nelle foto postate e nei commenti di elogio a questi novelli benefattori, devoti ai "lavori sociali", che tra piastrine con anello artigianale e moschettoni da ferramenta allestiscono, a loro dire, soste a prova di bomba...
Nasce sicuramente un problema di linguaggio: come definire le soste marchiate "CE"?
Non saprei, cosi come non riesco a capire come si possa comunicare allegramente la bontà di un itinerario che si snoda tra cubetti e frigoriferi in equilibrio instabile...
Sono certamente vie facili, accessibili a chi inizia e a chi, dopo tanta vita verticale, ritorna a frequentare gradi più tranquilli; poco male per i secondi, che hanno esperienza da vendere, ma cosa dire dei primi? invitati da tanta retorica a frequentare questi scivoli strappati alla vegetazione?
Che comunicazione si fa se non si riesce a discernere, differenziare e descrivere, la qualità del materiale in parete?
Non è certo comunicazione far passare come "sosta a prova di bomba" sia la sosta premontata - ben posizionata - in inox 12mm, sia la sosta artigianale con moschettone da ferramenta con chiusura a "anello fatto di tubo per innaffiare l'orto".
Ecco - l'orto - quello si che possiamo trattarlo in modo privato se nasce sul suolo di nostra proprietà, non certo una falesia, o struttura rocciosa, dove non possiamo invitare chi non condivide le nostre idee a cambiare aria e terreno vantando un impalpabile diritto di "lavoro" o di "affetto".
Il "primo che arriva" può forse avere qualche diritto su qualcosa di pubblico, ma solo fino a quando il materiale a disposizione non comincia a scarseggiare in qualità e quantità...
Dalla guida, ma anche dalla "comunicazione" del luogo che avviene nei social, si intuisce quale sarebbe dovuta essere la cura necessaria per fare una comunicazione onesta.
Gia, l'onestà...
L'autore cita Bernard Amy, nella bella similitudine tra poesia e alpinismo, cita anche il vate D'annunzio "solus ad solam"; io oppongo la stessa critica che fece Saba in "quel che resta da fare ai poeti", quando parlò di poesia onesta: c'è una responsabilità del poeta, (alias chiodatore); in sostanza il poeta deve rispondere di ciò che scrive.
Ancora, Saba:
 “Chi non fa versi per il sincero bisogno di aiutare col ritmo l‘espressione della sua passione, ma ha intenzioni bottegaie o ambiziose, e pubblicare un libro è per lui come urgere una decorazione o aprire un negozio, non può nemmeno immaginare quale tenace sforzo d’intelletto, e quale disinteressata grandezza d’animo occorra per resistere ad ogni lenocinio, e mantenersi puri ed onesti di fronte a se stessi; anche quando il verso menzognero è, preso singolarmente, il migliore.
[...] quello che ho chiamato onestà letteraria [...] è prima un non sforzare mai l’ispirazione, poi non tentare, per meschini motivi di ambizione o di successo, di farla parere più vasta e trascendente di quanto per avventura essa sia: è reazione, durante il lavoro, alla pigrizia intellettuale che impedi- sce allo scandaglio di toccare il fondo; reazione alla dolcezza di lasciarsi prender la mano dal ritmo, dalla rima, da quello che volgarmente si chiama la vena. Benché esser originali e ritrovar se stessi sieno termini equivalenti, chi non riconosce in pratica che il primo è l’effetto e il secondo la causa; e parte non dal bisogno di riconoscersi ma da uno sfrenato desiderio dell’originalità, per cui non sa rassegnarsi, quando occorre, a dire anche quello che gli altri hanno detto; non ritroverà mai la sua vera natura, non dirà mai alcunché di inaspettato".

Guardando le problematiche che stanno investendo la Francia verticale, da tempo tesa nel risolvere la questione "falesie", (arrivando persino a ipotizzare un "interesse pubblico" per poter giustificare l'esproprio delle pareti ai privati), mi chiedo se abbia senso spingere ancora in questa direzione fatta di retorica e di fotografie statiche non solo di stati della roccia e del materiale posizionato ma anche di una mentalità in cui riecheggia forte il superato e ipocrita: "attrezzo solo per me".
Siamo ancora fermi ai detti evangelici utilizzati in modo parziale, finalistico.
Siamo fermi al confronto sociale/ambientale, alle analisi di vivibilità/realizzabilità.
Fingiamo che l'ambito economico non esista.
Invece esiste, e questo comporta che si debba parlare anche di "equità sociale".
Conviene cercare un valore sociale condiviso in grado di riunirci tutti nel recinto - necessario - della sostenibilità.
Parola oggi di moda, che va affermata perché non passi di moda.
"Sostenibilità" è rendere possibile anche in futuro quello che è possibile oggi.
Anche chiodare.
Un "chiodare" che non è mai quello del giorno prima, per il fatto che tutto evolve, materiale, prodotto, utenza ecc ecc.
Un "chiodare" che purtroppo - il prezzo da pagare a quanto pare - mette il trapano in mano anche a chi non ha mai messo nemmeno un tassello in casa per appendere un quadro...
Chissà quanti novelli creatori di itinerari hanno letto un testo tecnico sulla chiodatura.
Tutto si muove, nemmeno il cielo azzurro ha sempre lo stesso significato: in tempo di guerra era portatore di bombe, ai tempi odierni è portatore di altri significati ben più leggeri della paura.
L'autore della guida, è certamente un padre dell'arrampicata veronese, ma la storia, - italiana a parte-, è fatta di parricidi, in caso contrario diventa una sterile lotta fra fratelli che non porta a niente se non alla sempiterna ricerca del consenso del padre che piano piano diventa padrone.
Questo non si puo chiamare "evoluzione"... (ogni riferimento alla storia italiana non è per nulla casuale).
Torno quindi a Saba, quando dice che "l'opera di questi figli avrebbe dovuto essere forse più di selezione e di rifacimento che di novissima creazione".
L'opera dei figli porta con sé a livello inconscio l'opera dei padri, non dobbiamo avere paura di chi affonda radici nel nostro operato.
Farci da parte con umiltà, ammesso anch'io sia un padre: questo a mio parere è trattare la resa.
Se ci spostiamo un pochino, forse non obblighiamo i nostri figli a vedere nei "rumeghi" le uniche possibilità di espressione.
Le vere rivoluzioni passano sempre da teste tagliate; questo ambiente verticale, di una scossa "rivoluzionaria" ne ha bisogno come il pane.
Miriamo alla "sostenibilità", ricordando che si compone di tre momenti: creazione, mantenimento e riciclo.
Non tutte le vie sono opere d'arte, qualcosa va riciclato, anche in forza delle nuove possibilità intervenute nel tempo trascorso tra creazione e riciclo.
Questo per garantire la massima diversità di espressione, vero valore di armonia e di libertà.
Quanto al lato tecnico del testo, al rispetto dell'utente/lettore... beh, quello lo si evince anche dalla qualità delle foto e degli schizzi.
Forse qualche euro in più lo si spende volentieri se si riscontra anche nella guida il rispetto al lettore.
Ad ogni modo ringrazio l'autore per gli stimoli proposti, ringraziamenti che non meritano tutti gli utenti che forti della "vile prudenza" vivono come le zecche appollaiate sui rami in attesa di succhiare sangue ai corpi caldi e vivi.
Non è una battaglia contro l'autore, anzi, grazie a Eugenio ci si può aprire ad un confronto di idee, ad un futuro possibile.
Non lasciamoci tentare dalla sterile polemica dialettica: chiodiamo meno, ma facciamolo meglio, Teniamoci un po' di tempo per pensare a quello che facciamo, dimostrando vero amore per la nostra attività e non solo di noi stessi.
Con la folla sommersa dei silenti, non si può fare molto, se non lasciare che il bisturi risanatore passi in mani di persone che non sanno, - in senso pratico-, su cosa stanno deliberando.
Rimane quindi solo un problema, mio, ridicolo e personale: non so in quale sezione della libreria devo collocare questo libro: prosa, poesia, guida?
Penso alle piante tagliate per creare queste vie, tagliate per stampare questa guida...
Fosse stampato su carta doppio velo avrei un dubbio in meno.
Andrea Tosi.

P.S.
Non tragga in inganno il link di questo blog. Da tempo è espressione del mio pensiero senza condividere più nulla con l'intento iniziale di comunicare l'attività svolta nella sala boulder della palestra "King Rock".



mercoledì 22 febbraio 2017

"Il sogno del grande scozzese" - Stefano Tedeschi


"Il sogno del grande scozzese" Stefano Tedeschi  |  Versante Est, formato kindle (1,99 euro)
Questa è una recensione e forse la colpa è di Brunori e del mio canticchiare la sua : "il costume da torero":

"La realtà è una merda
ma non finisce qua
passami il mantello nero
il costume da torero
oggi salvo il mondo intero
con un pugno di poesie

Non sarò mai abbastanza cinico
da smettere di credere
che il mondo possa essere
migliore di com'è

Ma non sarò neanche tanto stupido
da credere che il mondo
possa crescere se non parto da me"

Nella canzone il testo è cantato da un coro di bambini di cui Brunori potrebbe essere il padre...
e tra i padri che ho scelto, anche a loro insaputa, c'è Stefano Tedeschi.
Ho imparato molto dalla sua ruspante energia che si manifestava nei dialoghi ma anche nel trascinare la mia corda sulla cengia di Ceraino per passare velocemente da un tiro all'altro.
Ogni nostro incontro metteva in scena una lotta tra titani: "Spazio Vs Tempo".
Accadeva sempre: storia di far entrare più metri possibili nel sempre poco tempo ritagliato tra gli impegni di una vita apparentemente dispiegata in una discesa lastricata di routine.
Era opposizione al generico, era restare a galla.
Sarà passato un lustro da allora, ma incredibilmente, oggi, sono tornato a scalare con Stefano.
Siamo stati in Daone, piccozze e ramponi.
Come in un sogno, sul "Sogno del grande scozzese".
Siamo partiti “silenziosi nel freddo siderale dell’alba”, un freddo “creatore di cattedrali, di fortezze da espugnare”, un freddo che “fa sudare”
Non era ghiaccio, ma "supporto glaciale”: materia che accetta aggettivi come: "vetrosa" o "elastica".
Il tutto in una valle dalla pelle ruvida, dove :
“tonaliti rigate di ematiti si alternano a feldspati e l’orneblenda alla tormalina e, ancora, miliardi di cristalli donano riflessi a queste potenti strutture geologiche, monumenti planetari, testimoni della vita endogena ella terra”.
Dettagli, nomi propri, aggettivi precisi e capacità di vivere con il distacco del ricordo, l'urgenza del presente.
E' stato un viaggio “al termine della notte”, ho condiviso le soste, le doppie del ritorno e...
... ti perdono Stefano se per tutta questa esperienza, che tu chiami "racconto lungo", mi hai chiamato "Carlo”.
Si, certo, c'era anche Carlo, il tuo compagno di cordata, ma credimi, adesso "c'ero" anch'io.
In queste queste due ore di “scalata”, sono rimasto legato a te, non con una corda, ma risucchiato dal vuoto che sei riuscito a creare, espandendo e dilatando gli attimi di panico che hai vissuto, in dialoghi con la natura, descrizioni dettagliate ed aggettivi onesti.


“Non ho più fiato ne saliva e sono sull’orlo del panico.
Poco lontano mi sorprende il volo di un corvo, unica presenza, oltre a noi, mi osserva immobile sfruttando la spinta del leggero flusso d'aria che risale la parete. Ormai nevrotico impreco, urlo e lo maledico, come fosse un'emanazione dell'inferno.

— Dammi le tue ali maledetto! 
Dammi la forza del tuo volo librato! 
Dammi la tua perfezione, signore dell'aria e del vuoto! 

Concedimi la tua libertà assoluta e fammi fuggire da qui,
 dalla paura della mia mortalità,
 dalla mia estraneità a tutto questo!

Poi, rientrato nell'inquietudine e nella totale solitudine,
 devo decidere della mia salvezza.”

Paradossale, oggi sono salito con te, nel 1988, sul "Grande scozzese", ho usato ramponi e piccozze; io che credo non salirò mai una cascata di ghiaccio, mentre tu, con buona probabilità, eri alle prese con una delle tue incisioni.
Leggendo il tuo racconto mi sono tornate alla mente le parole di Céline, quando parlava dello "scrivere": "È un vero lavoro. È il lavoro dello stilista, ci vuole un enorme respiro, grande sensibilità, è difficilissimo da fare, perché bisogna girarle attorno… attorno a che? All’emozione! perché in principio non era il verbo... era l’emozione"

Evidentemente il tempo non diventa prezioso misurandolo con un Rolex; il tempo prezioso se ne infischia e sfugge alla sua misura, trovando in questa fuga il varco verso l'eternità del senza tempo.

P.S. Avrei voluto fosse un libro di carta, forse è la deformazione del climber, ma avere qualcosa di ruvido sotto i polpastrelli è ancora qualcosa che aggiunge valore a queste "vite possibili" vissute leggendo...
Per quanto mi riguarda sarebbe stata anche l'occasione per passare dalla tua "Stamperia del cappello" per farmi autografare la copia, ma a questo si rimedia.

N.B. "Il sogno del grande scozzese" di Stefano Tedeschi è "la poetica rievocazione di una delle prime salite della grande cascata di ghiaccio della valle di Daone nota in ambito internazionale come "Sogno del grande scozzese", portata a termine dall'autore nell'inverno del 1988"



domenica 15 gennaio 2017

"non ditemi che le parole non contano"

"Lo sport è il crinale che separa il combattimento dalla sommossa" cit: Roland Barthes
" Che cos'è lo sport ?
Che cosa mettono gli uomini nello sport?
Se stessi e il loro universo umano.
Lo sport è fatto per esprimere il contratto umano."
Finisce così il commento di Roland Barthes al documentario "lo sport e gli uomini".
Non ricordo invece le ultime parole usate per concludere la serata sull' "arte di chiodare", ma questa mia mancanza non sarà mai la prova che le parole non contano.
Aspetti legali, ambientali e tecnici sono stati esplorati da persone competenti per i loro studi e per la loro pratica del mondo verticale.
E' importante che si sia tentato di mettere in piedi una sorta di tavola rotonda attorno ad un tema che appare ancora libero da aspetti legali "specifici" ma contemporaneamente non è più libero da aspettative normative che le nuove generazioni di climber danno per scontate quando escono all'aperto.
"Lo sport esprime il contratto umano" diceva Barthes, e se guardiamo come oggi questo si esprime, non possiamo fare a meno di notare che spesso parla in termini di leggi, quindi di privazioni, di alienazioni o di limitazioni di istinti.
Sempre pescando dal semiologo francese possiamo osservare come l'individualismo odierno ci ha spinto uno contro l'altro, mentre lo sport, pur eleggendo "il migliore", non si rivolge all'uomo contro l'uomo, ma all'uomo contro la resistenza delle cose, alla stabilità della gravità e della natura nel nostro caso.
In buona sostanza, il primo in classifica è applaudito dal secondo per la forza con cui si è opposto all'ostacolo.
Ancora più chiaramente, chi sale il 9a, è applaudito per l'abilità che ha l'uomo di affrontare la natura, senza cadere in confronti di abilità tra uomo e uomo.
Probabilmente è ancora così, basterebbe togliere quel leggero strato di insensibilità che sembra ricoprirci, perché offuscati da questa patina di egoismo ne esce una società fondata sul negativo fatto di privazioni e alienazioni.
Il mondo "anarchico" verticale che si ostina a spostare nel tempo la presa d'atto che la sua popolazione è cambiata, rabbrividisce ogni volta che entra in contatto con l'idea che una qualsiasi legge possa limitarne le possibili vie di fuga nelle quali si dirama l'andare per pareti.
Le attività in montagna stanno in effetti esplodendo in una miriade di specialità.
Al punto che chiodare corto, lungo, trad, inox, zincato, resinato, dovrebbe sempre andare bene, perchè c'è sempre un buon motivo, anche se parziale, da utilizzare per giustificare il proprio operato...
Storia antica, appunto "storia", qualcosa che è stato.
Sarebbe  invece interessante provare ad anticipare la presa inevitabile della "legge" che prima o poi avverrà anche sulla nostra attività.
Un modo, forse, è quello di pensare all'istituzione, non nel modo conservatore a cui siamo abituati. Usando un po' di immaginazione, che nell'uomo non difetta mai, si può con coraggio credere di poter "istituire" un luogo a protezione dell'istinto di arrampicare.
Un luogo che non si congela a bloccare nel tempo e nel "così è sempre stato" la sua pratica, ma un luogo di incontro di tendenze, desideri e bisogni.
Questo modo di rapportarsi, dovrebbe essere in grado di produrre effetti concreti, sempre mobili e sempre in grado di adeguarsi per soddisfare il continuo mutare dei desideri del nostro sport.
Per fare questo è necessario passare alla pratica, al coinvolgimento, al saper tradurre le parole dell' altro in comprensione non solo ideale, ma anche fisica: condividere le stesse battaglie, essere insieme nelle stesse battaglie.
La piastrina che gira, il moschettone usurato, la cura del materiale e dell'ambiente deve divenire la battaglia di tutti, senza delega a nessuno.
Parlo di manutenzione, di comunicazione, di buone pratiche condivise.
Solo in questo modo, quando si aprono questioni come quelle discusse Giovedì 12 Gennaio -"l'arte di chiodare"- la parola può passare alla base del movimento.
Per essere più moderni, potremmo dire che "il movimento dal basso" può correggere/indirizzare questo nostro sport.
L'istituzione "mobile", "metamorfica" direbbe Deleuze, pensata in questo modo, può rispondere alle mutevoli esigenze del mondo verticale, divenendo un generatore di "regole" per gestire i rapporti tra le persone interessate.
Anche qui, per non cadere nel tranello della comodità, occorre rimanere attenti e flessibili per poter essere concretamente protettivi nei confronti del mutevole istinto: il desiderio deve continuamente fluire.
Come a dire: se l'istinto sessuale ha dato il via all'istituzione "matrimonio", l'averlo considerato "per sempre" prima, e "così è sempre stato" poi, ne ha fatto la tomba dell'istinto che lo ha generato...(passatemela...)
Allora le regole saranno sempre provvisorie, perché la pratica viene prima della regola, anzi, la regola è il prodotto della pratica.
E' fondamentale ripulirsi per ritrovare una certa sensibilità che guarda al sociale e si allontana dal piano individuale, porre quindi l'attenzione alla relazione.
"Chiodo per me", "ci vado solo io", è un modo falso di ragionare, fosse solo per l'impossibile certezza di sapere quando e per quanto tempo saranno salite le nostre vie attrezzate.
Non siamo che esseri in relazione.
Allora "non ditemi che le parole non contano", perché è soprattutto con il linguaggio che ci esprimiamo e comunichiamo.
La pratica può anticipare la legge, se si raduna attorno ad una "istituzione".
Parliamone, confrontiamoci, magari sapendo di cosa parliamo, sapendolo in pratica ma anche in teoria.
Comunicate le vostre osservazioni: sarà parte del materiale utilizzato per costruire i prossimi appuntamenti sull'"arte di chiodare".

N.B.
 A questo link trovate le "Indicazioni tecniche di chiodatura" presentate nella serata.
 A questo link trovate le "Indicazioni ambientali" presentate nella serata.


"la tirannia è un regime in cui vi sono molte leggi e poche istituzioni, la democrazia un regime in cui vi sono molte istituzioni e pochissime leggi. […] Le leggi imprigionano l’azione: la immobilizzano, la moralizzano. Pure istituzioni senza leggi sarebbero per natura modelli di azione libera, in perpetuo movimento, in permanente rivoluzione, in costante stato di immoralità". Gilles Deleuze


mercoledì 11 gennaio 2017

Del perchè chiodare... (poco e bene)

"porre in essere un mondo"


Produrre una qualsiasi cosa non è mai separabile dal tempo in cui si è prodotta.
Cosi, il primo produttore di automobili non si è posto i problemi che si pongono i produttori di oggi.
Se il primo produttore poteva essere un artista, i nuovi produttori devono conformare il loro "genio" alle necessità che nei tempi sono emerse visto l'enorme sviluppo di regole, norme e standard imposte dalla società, che si vuole sia civile.
A ben guardare viste le diverse altezze a cui viaggiano i paraurti delle auto, ancora molto rimane da fare, eppure, tutti gli ingegneri che oggi progettano hanno un trascorso sulle "illuminanti" soluzioni morali adottate dagli autoscontri...
Cosi, il primo chiodatore non si è posto i problemi che si pongono i chiodatori di oggi.
Se il primo chiodatore poteva essere un artista, i nuovi chiodatori devono conformare il loro "genio" alle necessità che nei tempi sono emerse ...
A ben guardare viste le diverse altezze a cui viaggiano le prime protezioni di ogni tiro, ancora molto rimane da fare, eppure...
Eppure oggi sembra cosi difficile trovare una risposta moralmente e universalmente accettabile.
Credere che le motivazioni del chiodatore e la gratitudine a lui riservata negli anni 80 debba essere conservata "tout court" anche ai giorni nostri, è una credenza azzardata.
Possiamo trovare risposte a tante domande guardando a posteriori la nostra storia verticale
L'estetica di un tiro, la possibilità di trascurare gli standard sui materiali utilizzabili, l'omogeneità dell'utenza che si affida ai prodotti di chi chioda, la comunicazione dei lavori fatti in parete, sono concetti e ragionamenti che possiamo ricostruire guardando il nostro passato.
Se oggi guardiamo avanti, possiamo solo proporre, ipotizzare, riempire una griglia ordinando pericolosità ambientale su un lato e vicinanza allo stato dell'arte nel posizionamento delle protezioni dall'altro.
Creare un'area che sfuma con continuità dalla sicurezza della sala indoor, passando per le falesie gestite dalle amministrazioni comunali, e finendo all'alpinismo "trad", passando per le infinite sfumature del nostro sport che continuiamo a chiamare "arrampicata sportiva", alimentando in questo modo un discreta confusione. 
A questa griglia di possibilità, dovremmo sovrapporre una pellicola di responsabilità, che potremmo identificare con "la comunicazione" più o meno trasparente dell'operato svolto in parete.
Per una volta bisognerebbe lasciare da parte la retorica, la poesia e tutte quelle patetiche "soggettività" che non hanno valore davanti alla legge.
Entrare nel labirinto delle necessità e delle libertà, cercare di non chiudersi ai bisogni ma anche di non chiudere gli occhi sulla realtà sportiva che si sta affermando, richiede l'aiuto di tutti, chiodatori e scalatori.
Tenendoci per mano, possiamo avanzare nel labirinto senza perdere il filo che può riportarci al punto di partenza, per riprovare a costruire senza girare a vuoto.
Lo so, l'immagine è patetica, ma tant'è.
Domani, 
Giovedì 12 Gennaio
 alle ore 21.00
 al King Rock,
"L'arte di chiodare"

una serata dove guide alpine, Laac, vecchi e giovani, proveranno a mettere nel piatto lo stato dell'arte, legale, ambientale, tecnico e forse morale.
Sarà una base di partenza, una prima serata che aprirà ad un periodo di proposte, a nuove serate di risposte.
Un dialogo a trapani fermi, una tregua.