Il mio presente? Adesso, adesso, compilo le schede tecniche di questa futura guida. Mi accorgo che il pensiero rimbalza istantaneamente tra il nome della via, qui, presente, e il panorama che quella via porta con sé, il passato. Per "panorama" intendo il clima, il periodo storico, le tecniche e i materiali.
Compilo Ceredo, che oggi per descriverla deve essere connotata con un “classica”.
Sono arrivato a “Dolce follia” e la ricordo con la “fissa” passata. Ricordo un giorno di pioggia e uno sprovveduto Andrea che avendo la bocca più grande della pancia provava a mettere le mani sui primi metri di una via che “Peci” non aveva ancora finito di chiodare… Al tempo avevo forse salito “l’apprendista stregone” – 6b di Stallavena, così, giusto per dare la misura del senso di quello che stavo facendo: nessuno.
Già… chi era “Peci” lo avrei scoperto nel tempo, così come avrei scoperto più tardi la cura creativa di “Lele” Sartori e le ramanzine paterne di “Beppo” Zanini: chiodatori.
Inutile perdere tempo nel far cantare queste sirene: “quello che era come fosse per sempre” lo canta Capossela e non è questo il momento…
Penso invece che il presente esista solo per un soggetto particolare, che il presente collettivo e condiviso è una “boiata pazzesca” e tuttalpiù lo si può riassumere come “ignoranza” o grossolanità nel descrivere una situazione molto generale. La logica conclusione è che una verità, una, non esiste.
Sì, ammetto che è difficile dare credito alla mia affermazione, ma se proprio non riuscite a fare a meno di replicare con: “questo lo dici tu” … vi posso rimandare ai testi e alle pagine precise dove tutto questo pensiero viene esposto in termini precisi e in toni decisamente “divulgativi”. Parlo di Fisica e Matematica, non di inutile filosofia…
Quindi no! ognuno ha un suo presente e ognuno ha la sua verità, vera come quella degli altri che inevitabilmente diverge dalla nostra.
Se quindi il grosso timore nel passare il testimone alle generazioni future è quello di vedere venir meno una voce importante in quel coro che ha costruito l’arrampicata sportiva nel veronese, non resta che posare il trapano e prendere in mano una cosa che scotta molto più di una punta da 12 mm appena post-foro. Occorre prendere in mano la penna. Una penna “scotta” quando tiene bene gli occhi aperti sulla realtà e tenta di scrivere senza strizzare l’occhiolino al pubblico pagante.
Ma, restando ancorato al tema principale di questo scritto – il presente, è forse meglio insistere e definire con più precisione cosa sarà mai questo presente “esteso” che da qualche parte dovrà pur esserci, in fin dei conti, se qualcosa, anche soggettivamente, ad un certo punto è emersa al mondo… beh, vorrà dire che avrà avuto un suo presente!
“Là dove c’era l’erba oggi c’è”… una via, canterebbe Celentano se scalasse una via plaisir a Tessari… e quelle vie, una volta non c’erano.
E allora tenevi forte, perché il presente “esteso” – condiviso dai molti – è tutto quello che nell’essere trascurato ci lascia indifferenti. Insomma, è tutto quello che ci sfugge, quello che rimane ai bordi del nostro interesse, che nel suo non essere “mio” o “tuo”, rimane impotente e senza voce. Problema di abitudine e memoria.
Dai... un passo ancora e siamo arrivati al dunque… pensate a questo presente esteso come alla piastrina della via che state moschettonando.
Sì, ma… guardatela!
Mettetela a fuoco!
Non fatevi ingannare dall’abitudine.
Eccolo il presente esteso! Visto? Esiste in tutta la sua forza. Si è semplicemente perso nell’abitudine, è diventato come l’aria, il supporto dato per scontato che permette la vita. Moschetto e salgo, respiro e vivo.
Trascuro l’aria e il pensiero che venga a mancare mi lascia indifferente.
Il tempo è ignoranza.
Credo non serva essere troppo espliciti. Chi può capire ha già capito e gli altri… gli altri non lo capiranno forse mai, persi nel troppo rumore prodotto dai trapani che costano sempre meno e dalle martellate sui tasselli regalati per chiodare “il nuovo”.
Per questo credo serva “associarsi”. Perché il presente esteso prima o poi entra nelle vite di qualcuno di noi e si rivela spesso doloroso. Smette di esserci indifferente. Credo sia meglio integrarlo subito, riaprire gli occhi, anche se costa farlo. La vista del reale arrossa gli occhi fino a farli lacrimare. Associarsi per raccontare i tanti volti della verità che si coagulano in una mole di materiale che sono certamente le nostre “vie per l’arrampicata” ma sono anche i nomi e gradi per le "guide". Associarsi per accorgersi che è passato almeno mezzo secolo dai primi itinerari, che i “padri fondatori” devono guardare con fiducia alla nuova generazione che tende la mano e presta l’orecchio, che vuole sapere e non essere indifferente.
Una generazione che non si accontenta dell’ignoranza.
Associarsi perché il sudore di allora che si mescolava alla polvere, ai pollini e alla terra, è identico a quello odierno che imbratta l’ascella della camicia mentre è impegnata nel dialogo sociale tra le parti o nel tedioso lavoro “da tastiera”. Un sudore diverso ma non meno nobile. Un sudore più maturo che nasce dalla stessa passione per l’arrampicata.
Il difficile è durare, resistere nel tempo sapendo evolvere. Tutto quello che rimane "fermo" è destinato a marcire.
È questa la sfida che lasciamo ai giovani.
Abbiamo avuto la fortuna di poter creare un mondo: bene! Adesso guardiamoci attorno e facciamo in modo che questo presente esteso che non è di nessuno e ci lascia indifferenti, si dissolva nella cura di tutti, ognuno a suo modo e per quello che può. Cura di un mondo che ci accomuna e che condividiamo quando ci facciamo testimoni della bellezza che promana da un corpo che può salire in alto.
Associamoci nell’interesse comune, facciamo un’arena virtuale dove poter scrivere le verità curiose che solo noi custodiamo. Facciamo un’arena reale ogni tre mesi per sottolineare gli aspetti che cambiano e che orientano nostro mondo. Facciamo un’arena di materiale per dare valore al tempo libero di chi può operare senza dover rimetterci troppo di tasca propria. Facciamo infine un’arena ufficiale per manifestare la maturità di un movimento che non ha il disperato bisogno dei “social” per comunicare le cose importanti e che prova a confrontarsi con la forza di un palese interesse sociale manifestato dagli iscritti.
Associamoci per custodire questo bene prezioso in modo condiviso, nei modi e nei materiali, per guardare avanti senza ascoltare i canti delle sirene ma accettando e integrando le realtà sempre in divenire che si affermano giorno per giorno.
Sarà Utopia? Probabile… a mio modo di vedere sarà sempre meglio dell’anarchia e delle trappole tese da chi piega a proprio comodo il concetto di libertà.
Troviamo una data e riuniamoci:
Abbiamo costruito falesie, non sarà certo trovare un nome per l'associazione e firmare qualche scartoffia a fermarci adesso!
Andrea